Dracula_Besson

Nel 2025 Luc Besson decide di tornare al mito del vampiro più celebre della letteratura, e non intende rievocare l’orrore gotico tradizionale quanto, piuttosto, restituire al racconto un’anima romantica e dolorosa. In questa sua rilettura di Bram Stoker – la sua pellicola si intitola appunto Dracula: L’amore perduto – il sangue, i morsi e le tenebre passano in secondo piano: ciò che domina è l’ossessione, l’attesa, il corpo desiderante e la memoria dell’amore perduto. Comparando questa visione con alcune delle incarnazioni più celebri del vampiro sul grande schermo, emerge un confronto serrato fra differenti sensibilità cinematografiche – e forse un ripensamento radicale del tema del desiderio e dell’eros.

La nuova visione di Besson: amore, dolore, redenzione

Nel Dracula di Besson, il principe Vlad diventa vampiro dopo la morte della moglie Elisabeta, e da allora assume come unica ragione della propria immortalità la speranza di ritrovarla, reincarnata.
Così, l’azione si sposta in una Parigi di fine Ottocento, quando Dracula scorge in una giovane donna, Mina, il riflesso della sua antica amata.
Besson, spiega lui stesso: “non mi piacciono gli horror… mi interessa l’uomo che aspetta 400 anni per rivedere sua moglie”. Non più il mostro predatore dunque, ma l’amante perduto, l’anima tormentata dalla nostalgia e dal desiderio.

In questa scelta risiede il cuore della sua versione: un vampiro che non custodisce bramosia di violenza, ma cerca amore, redenzione, conforto da una solitudine ottusa e abietta. Il corpo vampiresco diventa allora luogo di memoria, dolore e speranza: una carne che vive tra la dannazione e l’attesa, sospesa tra morte e riscatto.

Amore e eros nel mito classico: un confronto con le versioni precedenti

Nella storia cinematografica del vampiro, molte versioni di Dracula hanno privilegiato l’orrore, la paura, la sensualità oscura. L’esempio più celebre è forse Bram Stoker’s Dracula (1992) di Francis Ford Coppola, che utilizza i temi ricorrenti anche nel famoso romanzo (amore, peccato, desiderio, seduzione e morte) in un’orgia gotica di immagini, sangue e desiderio proibito; con una sceneggiatura e una fotografia impagabili. In quel film, l’eros emerge spesso come seduzione carnal-sensuale: il vampiro che tenta, seduce, possiede. In molte incarnazioni – e anche in altre varianti horror o erotiche del mito vampirico – il corpo è terreno di conquista, orgoglio, paura, sensualità istintiva.

Besson cambia registro: non c’è (o è molto attenuato) l’elemento predatorio sensuale. Al suo Dracula interessa l’ideale dell’amore eterno, la memoria di un legame spezzato dal dolore e dalla morte. Il corpo diventa testimonianza di perdita e speranza piuttosto che strumento di seduzione. L’eros, in questo contesto, si avvicina più al sentimento nostalgico, all’attesa struggente, all’anelito di un ritorno. Dove nelle altre versioni ancora domina il desiderio carnale, qui prevale l’amore come nostalgia, come perdita e desiderio impossibile.

Questo rende la versione di Besson un anomalo ibrido tra romance gotico e tragedia romantica: la seduzione è meno desiderio carnale che memoria, e il vampiro non è predatore ma amante attraverso i secoli e lo scorrere negletto del tempo.

Il corpo come involucro di dolore e desiderio

In Besson, il corpo di Dracula – immortale, eppure tormentato – assume il valore di un “contenitore del tempo”. Non è più carne predatrice ma carne del lutto, della nostalgia, del ricordo. La trasformazione in vampiro non è celebrata come potenza, bensì vissuta come maledizione: l’immortalità diventa sospiro di eternità e di assenza.
Ogni respiro, ogni sguardo di Mina/Elisabeta, ogni luce gotica o chiaroscuro sul suo volto, assume la densità dell’attesa infinita, del dolore che non guarisce. Il corpo – del vampiro, della donna, degli altri – è attraversato da un’energia che non cerca dominio ma ricordo, salvezza, riconciliazione.

In questo modo, l’eros assume una valenza quasi metafisica: non erotismo esplicito, ma amore che sfida la morte, che sceglie la perdita come percorso di purificazione. Il vampiro non predica più con la ferocia, ma con la nostalgia; non con la seduzione, ma con la tenerezza, il rimpianto, la speranza.

Le ambivalenze e le critiche: amore, idealizzazione e ruolo del femminile

Nonostante la poetica romantica di Besson, la sua interpretazione non è priva di critiche. Alcuni osservatori (in particolare la stampa europea) hanno sottolineato come questa versione si avvalga di cliché antiquati: la donna ideale, pura, pronta al sacrificio; le altre figure femminili ridotte a stereotipi; la seduzione vampiresca trasformata in un “romance da romanzo-fotografia” a tratti kitsch.
In particolare, la protagonista femminile, nel doppio ruolo di Elisabeta e Mina, viene descritta come unico centro positivo del desiderio, mentre altre figure femminili restano marginali, spesso deformate in fantasmi o caricature.
Questo rivela la tensione interna al film: da una parte la volontà di far rivivere un amore eterno, dall’altra un’interpretazione estetizzante e idealizzante del corpo e della femminilità. L’eros non è più istintivo, oscuro, ambiguo: diventa nostalgia romantica, sacrificio; l’amore diventa redenzione più che passione.

Così, la versione di Besson appare compiuta se letta come ballata malinconica, ma problematica se analizzata con il filtro del femminismo o della rappresentazione del desiderio contemporaneo: la donna è riscoperta come simbolo di purezza e salvezza, ma rischia di essere privata di complessità e soggettività reale.

Il mito che si trasforma: la valenza contemporanea di questa rilettura

La decisione di Besson di riscrivere il mito di Dracula come tragedia romantica e non come horror, ha un valore simbolico e contemporaneo: un vampiro che non cerca più sangue ma amore eterno è forse l’immagine più pura dell’ossessione, della perdita, del desiderio di eternità. In un’epoca che spesso celebra la violenza, la carne, il voyeurismo, questo innamoramento richiama la vulnerabilità, la nostalgia, la memoria.

Il corpo in tutte le sue declinazioni diventa un palcoscenico di dolore e speranza, un dispositivo di risonanza emotiva. L’eros si trasforma: non più istinto bestiale, ma desiderio di appartenenza, di ricongiungimento, di senso. In un cinema contemporaneo che raramente osa questo registro (tra horror splatter o thriller freddi), Besson prova a far rivivere la dimensione romantica e tragica del sentimento – con le sue contraddizioni, le sue idealizzazioni, la sua malinconia.

Dato il clima culturale attuale, questa versione di Dracula può essere letta come un monito: non sempre il vampiro è simbolo di predazione o potere. Talvolta può essere simbolo di perdita, dolore, memoria – e di un amore che resiste, attraverso secoli, alla morte e all’oblio.

Perché, nel complesso, lo consigliamo

Il “Dracula” di Luc Besson rappresenta una svolta significativa nella storia delle reinterpretazioni cinematografiche del mito: un ritorno al sentimento, all’eros nostalgico, al corpo come custode del desiderio perduto. Pur con i suoi limiti – idealizzazione della donna, semplificazione di dinamiche di potere, rischio di cliché – la pellicola tenta una reinvenzione coraggiosa: il vampiro non come simbolo di paura, ma come figura di lutto, attesa e speranza. In questo contesto, l’eros non è più seduzione predatoria, ma memoria struggente, nostalgia e amore eterno: un atto di fede nella sopravvivenza al tempo.

Se il cinema ha ancora la forza di raccontare il dolore e il desiderio in chiave romantica, è perché, come in questo film, sente il bisogno di tornare a interrogare l’umanità – non solo il mostro.

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